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Cervicale e Psicosomatica: Emozioni da Ascoltare

da | 28 Ago 2025

Cervicale e psicosomatica: un collegamento da esplorare

Il dolore cervicale è uno dei disturbi più comuni nella società moderna. Posture scorrette, stress e tensioni quotidiane ne sono le cause più evidenti, ma esiste un livello più profondo e spesso trascurato: quello emotivo. In questo articolo esploreremo il legame tra problemi cervicali e eccesso di responsabilità e controllo, entrando in una lettura psicosomatica che ci aiuta a comprendere meglio il nostro corpo e le sue richieste.

 

Cosa c’entra la cervicale con il controllo?

Molti disturbi fisici sono espressione di disarmonie interiori. Quando sentiamo il peso del mondo sulle spalle, spesso lo portiamo lì: sulle nostre vertebre cervicali. Uno dei segnali più comuni di eccessivo carico emotivo è proprio il dolore in questa zona. La persona che soffre spesso di cervicalgia è solitamente molto attiva mentalmente, tende a porsi obiettivi ambiziosi, a voler controllare ogni dettaglio, ad assumersi la responsabilità non solo della propria vita ma anche di quella degli altri.

Questo atteggiamento iper-controllante può portare a una forma di sovraccarico fisico ed emotivo che si manifesta attraverso rigidità muscolare, tensioni continue, difficoltà di movimento e senso di fatica mentale.

 

Desideri o ostinazione? La sottile linea dell’equilibrio

Avere desideri, sogni e obiettivi è naturale e sano. Ma quando questi si trasformano in ossessione per il risultato, in una spinta continua a fare, a risolvere, a ottenere, perdiamo l’equilibrio. In questi casi, la cervicale diventa una spia accesa: ci segnala che stiamo forzando troppo, che stiamo andando oltre le nostre reali possibilità, senza ascoltare i ritmi naturali del corpo e senza rispettare il bisogno di pausa e di riposo.

La domanda allora diventa: cosa stiamo cercando di dimostrare? A chi? E soprattutto: perché ci sentiamo sempre costretti a spingere?

 

Il legame tra cervicale, nutrimento affettivo e infanzia

Per rispondere a queste domande è necessario andare più a fondo, fino alle nostre radici. Spesso, alla base di un comportamento iper-responsabile e controllante, troviamo una carenza di nutrimento emotivo durante l’infanzia, in particolare da parte della madre. Questa mancanza può riguardare sia l’aspetto fisico (come un allattamento interrotto o vissuto in modo traumatico), sia l’aspetto affettivo: assenza di coccole, mancanza di accoglienza empatica, freddezza o distacco emotivo.

Quando un neonato non viene accolto nei suoi bisogni fondamentali, sviluppa insicurezza, ansia, agitazione. L’assenza di un nutrimento affettivo caldo e rassicurante mina le basi dell’autostima e fa nascere nel bambino convinzioni profonde come:

  • “Non sono abbastanza”
  • “Non merito amore”
  • “Per ottenere devo faticare”
  • “Devo lottare per essere visto e accettato”

Questi pensieri, se non trasformati, ci accompagnano nell’età adulta e influenzano pesantemente il nostro comportamento.

 

Il bisogno di farsi vedere e accettare

Da adulti, cerchiamo di colmare quel vuoto originario assumendoci ruoli di salvataggio, diventando “indispensabili” per gli altri, iperattivi, iperproduttivi. Spesso ci sovraccarichiamo aiutando tutti, ci rendiamo disponibili oltre il limite, o creiamo infiniti progetti, nella speranza di ottenere quel riconoscimento che da piccoli è mancato.

Ma il corpo non mente. E quando la mente continua a correre senza sosta, la cervicale si blocca, la testa fa male, le spalle si irrigidiscono. Il messaggio è chiaro: ci stiamo allontanando da noi stessi.

 

Progetti mentali vs desideri dell’anima

Molti degli obiettivi che ci poniamo non sono realmente nostri. Nascono non da un desiderio autentico, ma da un bisogno di rivalsa o compensazione. Progetti che sembrano ambiziosi ma che in realtà nascondono il grido di un bambino interiore che chiede di essere visto, amato, riconosciuto.

Quando agiamo da questo spazio, rischiamo di perdere il contatto con la nostra verità interiore. Ci affatichiamo, ci disperdiamo in mille iniziative, ma non sentiamo mai una vera soddisfazione. E la cervicale continua a parlarci.

 

La ferita profonda: “non ho diritto di esistere”

In alcuni casi, se il clima affettivo dell’infanzia è stato particolarmente freddo o severo, si può radicare un messaggio ancora più profondo e doloroso: “non ho diritto di vivere”. Questo pensiero inconsapevole porta la persona a vivere in una condizione continua di lotta, fatica, sacrificio, come se dovesse sempre giustificare la propria presenza nel mondo.

Chi vive questo schema tende a sentirsi un “ospite” della vita, in dovere costante di dimostrare il proprio valore, di difendersi, di non abbassare mai la guardia. La vita diventa una continua prova di sopravvivenza e realizzazione forzata.

 

Dalla mente al cuore: il cammino di guarigione

La buona notizia è che possiamo cambiare questo schema. La chiave è la consapevolezza: osservare le nostre dinamiche, riconoscere da dove vengono, e scegliere consapevolmente una nuova strada.

Guarire dalla cervicale – in questo senso – significa guarire dalla spinta a controllare tutto, ritrovare la fiducia nella vita, nel flusso, negli altri. È un viaggio che ci porta a spostare il baricentro dalla mente al cuore, ad aprirci alla possibilità che ogni incontro, ogni persona, ogni evento, arrivi nella nostra vita per favorire la nostra evoluzione.

 

Riconoscere che nostra madre era “giusta”

Un passaggio importante nella guarigione è riconoscere il ruolo della madre, non in termini di giudizio, ma come anima che ha partecipato al nostro progetto di vita. Anche se è mancato il nutrimento, quella madre era necessaria per portarci a fare un certo tipo di esperienza, e oggi abbiamo la possibilità – da adulti consapevoli – di scegliere chi vogliamo avere accanto, con chi vogliamo creare relazioni sane, nutrienti, evolutive.

 

Conclusione: ascolta il messaggio del corpo

Il corpo non è un nemico da zittire con farmaci o terapie temporanee. Il corpo è un alleato che ci parla continuamente. La cervicale, con il suo dolore, ci sta dicendo che è il momento di rallentare, di lasciare andare il controllo, di alleggerire il carico. È il momento di fidarci, di ritrovare l’equilibrio tra fare e sentire, tra responsabilità e libertà, tra mente e cuore.

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